Foundation - Prologo
Era una stanza poco interessante, buia e senza pretese, uguale a un qualsiasi ufficio di avvocato. I libri riempivano gli scaffali che si allungavano fino al soffitto e rotoli di pergamena, ingialliti dall'età, spuntavano disordinatamente dagli angoli oscuri, ad eccezione di alcuni scomodamente inseriti in una sorta di portaombrelli a forma di zampa di elefante. In fondo alla stanza si trovava una scrivania; un legno scuro incrinato dalle crepe e raggrinzito come il vecchio uomo che vi sedeva dietro. Una sola lampada elettrica illuminava la sua scrivania, diffondendo il suo tremulo bagliore elettrico sulle carte che il vecchio dall'aspetto desolato stava furiosamente scarabocchiando. La forte luce conferiva un aspetto sacro e spettrale al suo volto attempato. Dietro all'uomo intento a scrivere, circondata da altri altissimi scaffali che sembravano pronti a crollare sotto il peso dei libri, si trovava una porta piuttosto insignificante che avrebbe potuto facilmente condurre a un bagno o, ancora peggio, all'ufficio di un contabile. Dei passi nel corridoio causarono un momento di incertezza nella scrittura dell'uomo. Si fermò per un istante, diede uno sguardo alla porta di fronte a lui, quindi tornò a scrivere freneticamente. La porta si aprì bruscamente; un raggio di luce bianca riempì metà della stanza, illuminando la parte più lontana dello studio e facendo ritirare i vecchi libri polverosi ancora di più nell'oscurità dei loro scaffali, per sentirsi al sicuro. "Gibbons, per favore, chiudi la porta alle tue spalle" disse il vecchio, con una punta di fastidio nella sua voce cupa. La porta, cigolando, si chiuse. La figura agile di un uomo esile, scheletrico, arrivò fino alla scrivania, quasi come scivolando. "Buone notizie, signore!" disse a stento l'individuo, con una voce allegra, ma terribilmente seccante. All'uomo seduto dietro la scrivania questa voce faceva sempre venire in mente un gatto chiuso in una lavatrice durante la centrifuga. Non ci fu risposta, l'uomo continuava a scrivere freneticamente. Gibbons si guardò intorno imbarazzato, il bianco dei suoi occhi era l'unica caratteristica distinguibile nello scuro, oppressivo bagliore della stanza. Odiava essere ignorato dal suo padrone, e iniziò a contorcersi le mani con fare impacciato. "Vai avanti, Gibbons. Stiamo perdendo tempo." "Signore, credo di aver trovato le ultime persone che stavate cercando." L'uomo smise di scrivere e mise gentilmente la penna a riposare sulle carte, quindi alzò lo sguardo e guardò Gibbons dritto negli occhi, inarcando un sopracciglio. "Tutti?" chiese scetticamente, come se reputasse l'impresa impossibile. La figura alta e ombrosa annuì vigorosamente. Era sempre felice di compiacere il suo padrone. "Ebbene?" chiese impaziente il vecchio dopo un momento di silenzio. Gibbons guardò sperduto il suo padrone finché non realizzò cosa voleva dire. "Ah! Li devo far entrare, vero?" "Sì Gibbons. Per favore" fu la risposta seccata del suo padrone. Inchinandosi abbondantemente, l'alto figuro si spostò lentamente all'indietro verso la porta e quindi lasciò la stanza. Dopo qualche istante si udì un colpo sordo alla porta. "Avanti!" disse il vecchio con con un tono di voce leggermente più cordiale. La porta si aprì ed un uomo alto, ben piazzato e con il volto scolpito nella roccia entrò nella stanza. Lunghi e ricci capelli rossi che strusciavano sulle sue spalle, un abito grigio con un ricamo a zig-zag sugli orli delle maniche e la fattura dell'orlo mostravano una raffinatezza nel suo vestire che alcuni degli altri "clienti" che avevano visitato questa stanza in passato non possedevano. "Prego, si sieda." il vecchio disse al prestante straniero senza alzarsi dalla sua stessa sedia. L'uomo sembrò inizialmente scettico, ma poi tirò fuori la sedia da sotto la scrivania e si sedette lentamente, senza che i suoi acuti occhi blu smettessero di fissare quelli del vecchio per un solo momento. "Mi è stata offerta una vacanza?" disse l'uomo dai capelli rossi, con un tono parzialmente interrogativo. Sembrava ancora sospettoso e a disagio. "Una vacanza speciale?" "Esatto, signore!" disse il vecchio dietro la scrivania con una voce allegra e ben impostata. "Una vacanza come non l'avete mai fatta prima!" Il robusto uomo lo fissò a lungo, intensamente, prima di fare la domanda successiva. "Ed è gratis?" Il vecchio fece un sorriso vincente. "Sì, signore. Per persone come lei." L'uomo ancora non sembrava convinto. "Lo veda come un gioco. Quando perde, la vacanza finisce e lei viene riportato nel posto in cui il Sig. Gibbons l'ha incontrata." Il vecchio riusciva a vedere che la diffidenza stava lentamente scomparendo dal volto dello straniero. "Sarà come vivere un'altra vita, ricominciando tutto da capo in un mondo dominato dalla magia e dagli Dèi." "Dèi! Hah!" tuonò l'imponente uomo. "Ne ho abbastanza della Chiesa! Non sono altro che prepotenti e spilorci!" Il vecchio sorrise. "Le assicuro, signore, che nessuno la comanderà in questo mondo. In questo mondo tutti i suoi sogni diventeranno realtà." La durezza improvvisamente scomparve dal volto del grosso uomo. "Sogni. Sì! Io ho un sacco di sogni" l'uomo sorrideva ampiamente. "Sa, ho questa idea di un pallone pieno di aria calda. Vede, l'aria calda si alza, sollevandovi da terra!" "Certamente, signore. Le posso garantire che quel sogno si avvererà in questa vacanza." Il vecchio si sporse sulla sua scrivania. "È per questo che vogliamo lei, signore. Lei è un inventore, un sognatore, questo è il tipo di persone per cui è fatto questo mondo." Vedeva che lo straniero aveva abboccato al proverbiale amo. "Naturalmente, lei potrebbe rispondere `no' e niente di tutto questo accadrebbe." Il grande uomo si svegliò dal suo sogno ad occhi aperti. "Vorrei accettare la vacanza!" disse con una voce ferma e determinata. "Eccellente!" disse il vecchio, raggiante. Egli aprì un cassetto e tirò fuori un pezzo di carta. "Ho solo bisogno di prendere nota di alcuni dettagli, signore." Il vecchio scrisse qualcosa sulla pagina e poi, senza alzare lo sguardo, chiese "Il suo nome, signore, per favore." "Da Vinci." rispose il grande uomo. "Leonardo Da Vinci." "Occupazione?" "Artista, scultore, inventore." "Grazie, signore. Solo una firma qui, in fondo a questa dichiarazione, per favore." Diede all'artista il foglio di carta sul quale aveva scritto fino a quel momento. "Qui, signore", indicò il vecchio, "sulla linea tratteggiata." Con enfasi, Leonardo Da Vinci scrisse il suo nome. "Ora, signore, se vuole venire da questa parte" il vecchio si alzò maestosamente dalla sedia facendo cenno all'artista di camminare verso la semplice porta di legno che era dietro la scrivania. Afferrandone la maniglia, il vecchio aprì la porta e invitò Leonardo ad entrare. "Se vuole gentilmente entrare, signore, possiamo passare all'ultima fase del contratto." La stanza oltre la porta era buia e sospetta. Leonardo guardò il vecchio, che sorrideva cordialmente come un gatto che ha appena avuto il suo latte. "È sicuro? Sembra parecchio buio lì dentro." "Tutto sarà presto chiarito, signore." Il vecchio invitò nuovamente l'artista ad entrare. Con cautela, Leonardo fece i primi passi incerti che lo portarono nell'oscurità. Si guardò intorno e lanciò al vecchio uno sguardo preoccupato. "Stia tranquillo, signore, va tutto bene." Improvvisamente la stanza iniziò a riempirsi di luce. Leonardo si guardò intorno, spaventato dal bagliore accecante. "Si metta a suo agio, signore. La sua vacanza sta per iniziare." Il vecchio chiuse la porta e tornò alla scrivania. Raggi di luce fuoriuscivano dagli spazi tra la porta e il suo stipite. Particolarmente indifferente, il vecchio continuò a scrivere sul foglio di carta e poi lo ripose con cura nella sua scrivania. La sua stanza era ormai piena di raggi di luce roteanti, mentre i libri fortemente illuminati davano l'effetto di volti incisi sui loro dorsi e sulle loro copertine. Sembravano ridere. "Wwwwwaaaaaahhhhhhhh" POP! Fiiizzzzzz! Il lamento di Leonardo fu improvvisamente interrotto a metà, e i brillanti raggi di luce che si infiltravano dalla misteriosa stanza svanirono. Tranquillamente, il vecchio chiuse il cassetto della sua scrivania e poi si piegò verso una scatola piena di pulsanti. Ne premette uno e la scatola emise un sibilo. "Fai entrare il prossimo, Gibbons." disse egli, freddamente. Dopo alcuni istanti, si sentì nuovamente bussare. "Avanti!" disse il vecchio. La porta si spalancò e la sagoma larga e bassa di un uomo apparve al suo interno. La luce filtrava lentamente nell'ufficio, e il vecchio iniziava a distinguerne le caratteristiche. Il piccolo, tarchiato uomo indossava delle spalline di metallo e una corazza modellata a immagine del petto di un uomo forte. Sotto l'armatura indossava una tunica bianca, le maniche terminavano ai suoi gomiti e l'oro ne ornava gli orli. Un altro uomo ricco, pensò il vecchio. Stranamente, il basso individuo sulla porta indossava un gonnellino e stivali alti fino al ginocchio stretti ai suoi polpacci pelosi. Una spada era legata alla sua vita, ed egli teneva la mano comodamente a riposo sull'elsa come un uomo che non ha paura di uccidere. "Si sieda, prego" fu l'invito del vecchio. Il soldato si guardò intorno, poi tirò fuori la sedia con forza e si sedette. "Mi è stato detto di venire qui!" egli tuonò. Drizzò la testa voltandosi e fissò il vecchio con i suoi fieri occhi blu. "Per un gioco." Si abbassò sulla scrivania. "Un gioco di guerra progettato dagli Dèi", disse in modo sinistro, ammiccando "Infatti, signore! Ed è proprio un gioco grandioso!" Il militare guardò in giro per la stanza. "Libri!" urlò con disprezzo. "Dai libri non viene nulla di buono!" Tornò a fissare freddamente il vecchio. "Dove sono le tue spade, gli scudi, le teste conficcate sui pali?" Il vecchio si appoggiò sulla sedia, sorvolando con indifferenza sull'accidentale commento dello straniero. "Questo è un passaggio, signore. Oltre quella porta", il vecchio si girò leggermente sulla sedia indicando la insignificante e ora inquietante porta, "vi è un mondo pieno di violenza e guerra, pestilenze e carestie. Al di là, signore, sono i suoi sogni." "Donne?" chiese il soldato, guardando il vecchio di traverso, con sospetto. "Certamente, signore. E alcool", disse dolcemente. Il soldato sorrise, un ampio sorriso che mostrava i suoi denti bianchi. Il vecchio non sbagliava mai nell'individuare i punti deboli. "E se muoio, io non muoio?" Lo straniero sembrava confuso da questa frase, come se la stesse tirando fuori da un ricordo poco chiaro. "Se lei muore in quel mondo, signore, sarà riportato in quest'altro mondo, nel quale il Sig. Gibbons vi ha trovato", rispose il vecchio. "L'uomo con la faccia furba e gli occhi lacrimosi che non sembrano riuscire a concentrarsi in un punto?" "Esatto, signore! Vedo che lo conosce molto bene." "È una maledetta donnicciola, amico! Al primo problema se la fa addosso!" "Sappiamo che lo fa", disse il vecchio come per scusarsi. "Qualcosa a che fare con la sua educazione, credo." "Allora, amico! Posso andare in questo nuovo mondo o no? Sento il bisogno di conquistare qualcosa!" abbaiò con una risata da furfante. "Una bella donna, magari!" disse scherzosamente, ammiccando. "Certo che può, signore!" Il vecchio lo interruppe alla svelta. "Lei è proprio quello che stavamo cercando", iniziò a cercare il cassetto della sua scrivania, "brutale", disse a se stesso mentre apriva il piccolo compartimento e prendeva un altro pezzo di carta. "Il suo nome, per favore. Burocrazia, capisce." "Alessandro il Grande!" urlò l'uomo, saltando in piedi e puntandosi i pugni sui fianchi. "Conquistatore del mondo conosciuto ed eletto dagli Dèi!" "Proprio così, signore, e non sa quanto hanno bisogno di lei", il vecchio si abbassò sulla scrivania mentre scriveva. "La ameranno laggiù", aggiunse con una voce più calma. "Professione, signore?" "Dio", disse Alessandro amorevolmente a se stesso. Spazzò via alcuni immaginari granelli di polvere dalla sua corazza e poi si guardò le unghie ben curate. "Le donne cadono ai miei piedi e si offrono a me. Tu come mi chiameresti?" chiese l'uomo, evidentemente confuso dalla sua stessa domanda. "Disperato?" suggerì il vecchio. Alessandro il Grande gli lanciò uno sguardo acido, poi un sorriso comparì lentamente sul suo volto. "Hah! Mi piaci, amico! Hai le budella forti!" "Già, e non si sposteranno di una virgola!" Alessandro si lasciò andare a una fragorosa risata. "Allora, signore. Devo aggiungere, tra le sue professioni, donnaiolo e pazzo alcolizzato?" Alessandro rise ancora più forte. "Mi piaci!" urlò. "Hai più spina dorsale di tutti i miei comandanti!" "Grazie, signore, me ne ricorderò." Si alzò dalla sedia. "Ora, se non le spiace entrare in quella porta, concluderemo la parte finale del contratto." Alessandro cercava di sembrare più alto stando dritto, e ci sarebbe quasi riuscito se non fosse che egli era novanta centimetri più basso del vecchio. Mentre il guerriero camminava verso la porta, questa si aprì da sola. Alessandro lanciò al vecchio un'occhiata preoccupata. "Gli Dèi sono impazienti di farla entrare", suggerì il vecchio. "Il loro regno la aspetta." Alessandro divenne radioso e entrò con sicurezza nella stanza oscura. La porta si chiuse di colpo alle spalle del guerriero. Si sentirono dei colpi dall'altra parte. "Che razza di scherzo!" urlò Alessandro. "Qui non c'è nient'altro che il buio" Improvvisamente la luce filtrò nell'ufficio attraverso le fessure della porta. "Stregoneria! Sono stato tradito!" Altri colpi, stavolta più forti. "Io vi - !" Improvvisamente la sua voce si interruppe. "Aarrgghhhhhhh - !" POP! Fiiizzzzzz! La luce svanì e il vecchio tornò a sedersi. Schiacciò il pulsante sul suo interfono e questo si accese sibilando. "Il prossimo!" disse con voce arcigna. Poco dopo si sentì bussare alla porta. "Avanti!" disse il vecchio. Una testa fece capolino dal corridoio. Beh, tecnicamente parlando era una testa, ma sembrava piuttosto come se qualcuno si fosse messo in testa una spazzola irta e consumata. Anche il vecchio sembrava sorpreso. "Prego, entri." "È kuesta la stanza per la fakanza?" chiese una voce con un evidente accento. Il vecchio rovistò nella propria memoria cercando di identificare la provenienza dell'interlocutore. Ebreo, con un che di americano, pensò il vecchio. "Prego, prenda una sedia", disse. Ciò che gli si presentò davanti era comico. L'uomo indossava un completo grigio che era decisamente troppo corto per lui, una cravatta marrone malamente annodata al collo e una maglietta bianca con un disegno a quadri formato da linee incrociate. I capelli lunghi e grigio-bianchi che si sollevavano in qualche modo dalla sua testa, come se il vecchio uomo avesse subito da poco un elettroshock, erano una caratteristica così evidente che la vista e il pensiero difficilmente li avrebbero potuti ignorare. Dei baffi folti, in un certo senso anche ridicoli, sembravano un bruco in sovrappeso sul suo labbro. Aveva decisamente l'aspetto dello scienziato pazzo. "Ah, bene!" disse lo straniero. Camminò distrattamente fino alla scrivania, la sua attenzione era tutta sulle numerose file di libri, quando sbatté sulla sedia e si mise a sedere. "Lo ztrano uomo dagli okki umidi dare indikazionen piuttosto bizzarren." "Dovrò scambiare due parole con lui", rispose il vecchio da dietro la scrivania, sentendo una affinità con il nuovo arrivato. "Zì, infatti, ma logika indikare che kuesta essere stanza ciusta." "Davvero?" "Zì, essere grosso kartellen fuori da fostra porta kon skritto `stanza vacanze'." Lo straniero sorrise furbamente, e il vecchio non riuscì a trattenersi dal ridacchiare. "Ha capito i termini e le condizioni del contratto?" "Zì. Sig. Gibbonz ha zpiegato kiaramente." Lo straniero si abbassò sulla scrivania e si guardò intorno furtivamente. "Ezzere mondo parallelo?" sussurrò guardandosi nuovamente intorno. "Kuesta essere una ti mie teorie ke sto cercando di provaren. Nostro universen essere difentato kosì noioso ultimamente, da kuando io avere skoperto kuesto." Sorrise verso il vecchio. "I dettagli al momento scarseggiano", rispose il vecchio. "Ma comunque potrà scoprirli da solo. Non è proprio quello che vuole?" "Infatti!" rispose l'uomo. "Lei mi konosce bene, eh?" Si guardò nuovamente intorno per essere sicuro che non fossero spiati, e ovviamente non lo erano, a meno che non si contassero gli sguardi incuriositi dei libri, naturalmente. "Mi essere stato tetto ke ci essere magia in kuesto nuovo monden. È fero? Mi piacerebbe, sa? Io essere kosì stanco di timostrare l'ordinario. Io folere difertirmi, per kambiare! Essere mago defe essere difertenten, fero?" "C'è più magia in questo mondo di quanta possiate immaginare!" "Fantastiken!" disse lo straniero, battendo le mani per l'eccitazione. "Dove dofere firmare?" "Proprio qui", disse il vecchio tirando fuori un pezzo di carta. "Albert Einstein, giusto?" chiese il vecchio, sebbene avesse già scritto il nome. Come occupazione scrisse `Genio' e `Animale da party'. "Se non le spiace firmare qui" Albert firmò, con grande eccitazione. "Essere kome vendere anima a diafolo, eh?" "Non proprio", rispose il vecchio. "Con il diavolo c'è più burocrazia di mezzo. Non sopporta la gente che rompe i suoi contratti." Il vecchio si alzò. "Ora venga da questa parte, attraversi questa porta." Mentre Albert Einstein si alzava, il vecchio aprì la porta. Albert con molta tranquillità e un sorriso sul volto camminò dritto nell'oscurità. "Ezzere buio qui, zì?" disse. "Presto cambierà, Albert", disse il vecchio, e poi chiuse tranquillamente la porta. "Oh!" Albert esclamò "Una forte lucen. Kome big bang, zì?" Ci fu un po' di silenzio. "Accipikkien! Wwwaaahhhhh - !" POP! Fiiizzzzzz! Silenzio. Il vecchio si mise a sedere, con un affettuoso sorriso sul volto. "Il prossimo, Gibbons, per favore", disse con una voce serena, sentendosi allegro dopo l'incontro con Albert. Senza che neanche si sentisse bussare, la porta si aprì e qualcuno entrò, nascosto nell'ombra della porta stessa. Il vecchio strinse gli occhi con rabbia per l'impazienza di vedere il nuovo straniero. "È lei Hawkins?" chiese la sagoma, ancora nascosta nell'ombra. Era una voce giovane, più giovane dei suoi ultimi tre visitatori. "Sì", il vecchio rispose irritato. "Oh. Bene." rispose la voce, sembrando poi completamente sperduta sul da farsi. "Chiuda la porta", disse il vecchio con un cenno della mano, come infastidito, mentre rivolgeva nuovamente la sua attenzione alle carte sulla sua scrivania. Con la coda dell'occhio vide lo straniero esitare un po' e poi chiudere la porta. Quando si accorse che il nuovo arrivato non si era mosso, alzò lo sguardo. "Si sieda", offrì con un tono di voce come se fosse un dato di fatto. Lo straniero fece quello che gli era stato detto e, mentre camminava nella tenue luce che era nella stanza, il vecchio lo scrutava attentamente. Aveva dei capelli chiari con una riga in mezzo che li faceva penzolare davanti alla sua faccia come un paio di tende. Indossava una specie di maglia decorata con colori accesi, un miscuglio confuso che stava facendo incrociare gli occhi al vecchio mentre fissava l'indumento. Notò che il nuovo arrivato indossava jeans scuri, e mentre guardava il ragazzo sedersi vide un riflesso di verde nel loro colore. Gibbons aveva detto di aver trovato tutte le persone necessarie a riempire i quattro posti vacanti. Cosa intendeva fare Gibbons dando l'ultimo posto a questo ragazzo? Mettendosi a sedere, lo straniero guardava con apprensione il vecchio, il quale lentamente si appoggiava all'indietro accompagnato dal suono della pelle scricchiolante mentre fissava il giovane. "Mi dica. Cosa fa per vivere?" Lo straniero alzò le spalle. "Niente. Sono disoccupato." Sembrava un po' impacciato, seduto lì con le spalle leggermente strette. Si guardò intorno. "Libri. Fico. Un sacco di libri." Non era mai stato molto abile nella conversazione. "Sì, infatti", rispose il vecchio lasciando un imbarazzante silenzio nella stanza. Lo straniero annuiva distrattamente con il capo, mordendosi le labbra mentre cercava in tutti i modi di trovare altre cose da dire. "La vostra segretaria, quella brutta con i denti rotti, il respiro affannoso e la lingua oscena mi ha trascinato qui dicendomi che lei stava regalando vacanze gratis." "Il Sig. Gibbons?" chiese il vecchio. "È un uomo?" chiese stupito lo straniero. "Allora perché indossa un abito da donna?" Il vecchio cercò di schivare l'infelice domanda. "I suoi genitori hanno fatto confusione quando è nato, e questo lo ha lasciato emotivamente ferito. Non si preoccupi, è decisamente inoffensivo." Lo straniero annuì scioccamente e guardò un'altra volta in giro per la stanza. Si fermò appena in tempo prima di dire un'altra volta quanto erano "fichi" i libri. Continuò a muovere la sua testa come uno scemo. "Nessun progetto per il futuro?" chiese il vecchio unendo le mani in una posizione a punta. Lo straniero alzò le spalle. "Non mi dispiacerebbe trovare un lavoro nel campo dell'informatica." rispose lo straniero con un tono di voce più sicuro. "Davvero?" disse il vecchio, un barlume di speranza nella sua voce. "Ha una qualifica?" "Non proprio, beh, non per il campo nel quale vorrei entrare." Il vecchio annuì e la sua mano era già alla ricerca del cassetto della scrivania. "E qual è il suo campo?" "Programmazione di giochi", rispose il giovane. "Hhmmm, davvero?" il vecchio aveva aperto il cassetto e stava già cercando un contratto. "Creativo, vero?". "Sì, ma al momento mi manca una buona idea. Mi serve un gioco che faccia impazzire la gente! Qualcosa che glielo faccia comprare a frotte. Ma non riesco a pensare." il vecchio tirò fuori il contratto e lo mise sulla scrivania. "Bene, abbiamo una vacanza libera. La vuole prendere?" "Non sono neanche sicuro del motivo per cui mi trovo qui." "Se io le dicessi che potrei portarla in un posto che la potrebbe ispirare, e forse anche darle un'idea per un gioco... lei andrebbe?" "Non saprei. Quante altre persone ci vanno?" "Oh, centinaia. Migliaia." disse il vecchio dimessamente. "Tutti come lei, persone creative, sebbene ve ne siano alcune che non lo sono e preferiscono distruggere le cose o semplicemente far fare ad altre persone delle cose per loro." "Hhmmm. Non so." "Non c'è veramente niente da temere. Le diamo una assicurazione sulla vita, tutto. Qualsiasi cosa le accada noi la riportiamo al punto in cui era prima, assolutamente intatto e con nient'altro che un lontano ricordo della sua esperienza." "Ricordo?" "Sì. Come un sogno. Un sogno che potrebbe ispirarla per la creazione di quel gioco redditizio di cui mi stava parlando." "Non so." disse lo straniero. "Quanto è lunga la vacanza?" "Quanto vuole lei." "Ero solo uscito a prendere il latte. La mia ragazza si preoccuperà se non torno presto." "Non c'è niente da temere, le assicuro. Può anche portarla con sé, se vuole." "Una vacanza gratis? Sembra troppo bello per essere vero." "Nessun impegno, le assicuro. Basta che lei mi dica il suo nome e firmi il contratto, e i rimanenti dettagli saranno sbrigati dietro quella porta alle mie spalle." "Contratto?" chiese lo straniero sospettosamente. "Sì. Niente di legalmente vincolante, solo la sua firma per dire che io sono d'accordo con lei e lei è d'accordo con me." "Bene" Il vecchio sorrise. "Si fidi di me, signore. Il suo nome, per favore?" "Paul", rispose lo straniero con esitazione. "Paul." "Bene, bene", disse il vecchio compilando le rimanenti voci. "firmi qui, prego." Paul prese la penna lentamente, e guardò il foglio che aveva di fronte. Vedeva le parole, tuttavia non riusciva a leggerle. Era difficile da spiegare. Vedeva chiaramente dove doveva firmare e vedeva chiaramente il suo nome scritto a grandi lettere dal vecchio. Impulsivamente, firmò il contratto alla svelta e restituì la penna. "Ben fatto", disse il vecchio battendo le mani. "Lei è un uomo religioso?" "Non direi, perché?" "Oh, niente, chiedevo", rispose distrattamente il vecchio. Si alzò. "Ora, se mi vuole seguire", premette brevemente il pulsante dell'interfono e disse forte: "Gibbons! Qui! Subito!" "S-sì, signore!" la terribile voce tornò a farfugliare. Il vecchio si alzò e aprì la porta che conduceva alla stanza misteriosa. Proprio in quel momento Gibbons entrò correndo nella stanza indossando un abito rosa con dei fronzoli alla fine. "Arrivo, signore! Non si scordi di me." "Er", disse Paul. "è un po' buio qui dentro, no?" "Tutto sarà presto svelato." rispose il vecchio. La porta si chiuse. "Uh, e ora?" chiese Paul, sentendosi un po' intimidito dall'alto vecchio e dal tremendo, osceno travestito che aveva iniziato a canticchiare una canzoncina infantile che iniziava a innervosire Paul. "Aspetti un momento soltanto", rispose la voce del vecchio proveniente da qualche parte nel buio vicino a Paul. "Hehehehehe", Gibbons ridacchiò con voce stridula. "Forse è meglio che io vada via adesso, grazie", disse Paul con decisione, sentendosi a disagio e improvvisamente molto, molto impaurito. "Un momento, un momento. Non c'è niente di cui avere paura." lo rassicurò dolcemente il vecchio. "Andiamo a casa, padrone!" Gibbons squittì come un bambino. "Sì, Gibbons. A casa." La luce entrò nella stanza e Paul si ritrovò al centro di essa. "Uh!" esclamò Paul. "Non si preoccupi. Fa tutto parte del contratto", disse il vecchio. Paul dovette riparare i suoi occhi dalla luce brillante alzando il braccio per coprirsi il volto. Quando fu in grado di sbirciare oltre il braccio notò un lungo tunnel bianco con una massa confusa di nubi che ruotavano attorno al suo centro. Improvvisamente si sentì risucchiato al suo interno come se tutto il suo corpo stesse andando giù per uno scarico. "Wwwwwaaaaahhhhh" Il mondo semplicemente esplose intorno a lui. Gli ronzavano le orecchie per l'esplosione - o era una implosione? - e quando aprì nuovamente gli occhi vide un immenso paesaggio di isole e isolotti che si estendeva fino a dove la vista poteva arrivare. Mentre in qualche modo sorvolava il paesaggio, dei campi gli passarono affianco. Delle persone lavoravano quei campi, li percorrevano arando la terra. Edifici in pietra sfrecciavano sotto di lui. Superò una recinzione di legno che usciva dalla sua visuale. Quando tornò a guardare nella direzione in cui viaggiava, vide un mulino a vento; le sue pale ruotavano al vento con un suono come whop-whop che sembrava andare a tempo con il battito del suo cuore. Improvvisamente fu risucchiato verso il basso; superò il mulino a vento a rotta di collo e il mondo schizzò fuori dalla sua mente. Mentre perdeva conoscenza, e il mondo come lo aveva conosciuto fino ad ora scivolava via dalla sua mente come un pensiero smarrito, avrebbe potuto giurare di aver visto un cartello affisso su uno dei lati del mulino che riportava scritto, con una scrittura quasi infantile, "Benvenuti nella terra di Foundation!!!!!!!!!" C'erano altri punti esclamativi, ma a quel punto la sua testa scoppiò e i suoi occhi si chiusero.
| ||
Pubblicazione - Sadeness Software - rich@sadeness.demon.co.uk Supporto di Foundation - Paul Burkey burkey@bigfoot.com
Sadeness Software - 13 Russell Terrace - Mundesley - Norfolk - NR11 8LJ - UK |